Interpretazioni diverse della realtà

Quando pensiamo a ciò che orienta la nostra vita, ci concentriamo sulle scelte, sui comportamenti, sulle relazioni o sulle emozioni. Eppure, dietro ogni gesto, ogni decisione, ogni reazione, agisce silenziosamente una visione del mondo. Come una bussola interiore, essa ci guida senza clamore, indicando ciò che consideriamo giusto o sbagliato, possibile o impossibile, reale o illusorio.

C’è chi vede l’esistenza come una sfida da superare con razionalità e disciplina, e chi la considera un viaggio misterioso guidato dall’intuito e dall’anima. Alcuni trovano sicurezza nella misura, nella previsione, nella logica dei dati; altri si affidano a segnali, connessioni sottili, sincronicità. Ci sono persone che si sentono al centro di un mondo competitivo, dove bisogna costruire se stessi “contro” gli altri, e altre che percepiscono la vita come un campo interconnesso dove ogni gesto si ripercuote sul tutto.

Ogni visione ha una sua logica, una coerenza interna che si riflette nelle emozioni, nei pensieri, ma anche nei corpi, nelle pratiche quotidiane, nelle architetture interiori che abitiamo senza quasi accorgercene. Pensiamo a chi si sveglia ogni mattina convinto che la vita sia un problema da risolvere: tenderà a organizzare tutto in modo funzionale, a ridurre l’incertezza, a interpretare le relazioni come rischi o come opportunità da calcolare. Il corpo, in questi casi, si fa teso, vigile, sorretto da regole e obiettivi.

C’è poi chi vive ogni giorno come un dono, un’offerta da restituire alla vita stessa. La giornata inizia magari con un gesto di gratitudine, una preghiera silenziosa, un respiro profondo. Il mondo è visto non come una macchina da dominare ma come un organismo vivente, con cui entrare in risonanza. In questa visione, l’essere umano non è sopra, ma dentro il mondo, in ascolto.

Amare è vedersi come un altro essere ci vede.
María Zambrano

Le visioni del mondo abitano anche le relazioni. Per alcuni, le emozioni sono segnali da decifrare e tenere sotto controllo; per altri, sono porte verso la vulnerabilità e la connessione autentica. Alcuni affrontano i conflitti cercando la via più efficace per avere ragione o risolvere il problema; altri vi entrano con il desiderio di comprendere il sentire dell’altro, anche a costo di mettere in discussione la propria posizione.

E poi ci sono le visioni che si intrecciano nei grandi sistemi, negli ambienti che frequentiamo. Le scuole, le imprese, le istituzioni riflettono modelli impliciti di realtà. In un mondo che misura tutto in termini di prestazione, il valore si traduce in numeri: risultati, performance, crescita. Ma esistono anche organizzazioni che si fondano su altri assunti: che mettono al centro il benessere, la collaborazione, la sostenibilità, la bellezza. Entrambe le strutture — l’una orientata al profitto, l’altra al significato — nascono da visioni diverse di ciò che è importante, di ciò che conta.

Non c’è una visione del mondo “giusta” e una “sbagliata”. Ognuna nasce da una combinazione irripetibile di esperienze, contesti, eredità culturali, ferite, rivelazioni. E tutte, in un certo senso, sono parziali. Ma alcune visioni ci irrigidiscono, ci chiudono, ci difendono da un mondo sentito come ostile. Altre ci aprono, ci trasformano, ci rendono più disponibili all’ascolto e alla complessità. La domanda fondamentale non è dunque “in cosa credo?”, ma: “quale visione del mondo sto vivendo — con il mio corpo, con i miei pensieri, nelle mie relazioni, nei miei ambienti — e che essere umano mi sta aiutando a diventare?”

“Il modo in cui pensiamo il mondo cambia il mondo. 
Ogni conoscenza è una traduzione, un punto di vista. 
La realtà non ci è data: si costruisce nel nostro modo di abitarla.”
Edgar Morin

Ogni giorno siamo immersi in interpretazioni diverse della realtà, alcune nostre, altre collettive. Pensiamo ai dibattiti pubblici, alle narrative dei media, ai linguaggi dell’economia o della spiritualità, ai rituali che scandiscono le nostre vite. Ogni narrazione esprime una certa idea dell’umano e del mondo. Quando ne diventiamo consapevoli, qualcosa cambia. Iniziamo a riconoscere che la realtà non è un dato oggettivo, ma un campo interpretativo in cui possiamo scegliere dove abitare, cosa alimentare, in che direzione evolvere.

Forse è proprio questo il compito del nostro tempo: imparare a riconoscere le nostre lenti, a cambiarle quando sono troppo strette, a coltivarle quando aprono nuovi orizzonti. Solo così possiamo passare da una percezione reattiva del mondo a una presenza creativa, capace di co-creare una realtà più ampia, generativa, e profondamente umana.

MLS